venerdì 10 giugno 2016

Championship Manager 01/02: la risalita (e la rinascita) dei viola



I mesi successivi, la rincorsa fino al quinto posto in campionato, la vittoria della Coppa Italia e la sconfitta in finale di Coppa Uefa contro il Manchester United (eliminato ad agosto dalla Champions) confermarono che eravamo diventati davvero una gran squadra.  
La Fiorentina del fallimento e della retrocessione si era trasformata in una macchina da guerra inarrestabile, anche se Veron, Scholes, Giggs, Cole e i fratelli Neville nella finale Uefa di metà maggio riusciranno a fermarne la corsa dopo tre mesi a dir poco perfetti e una doppio confronto (in cm 01/02 la finale Uefa a quei tempi si svolgeva ancora secondo la formula andata e ritorno) molto equilibrato.
 
Febbraio era iniziato con il trasferimento di Allegretti e un colpaccio in trasferta a Mestre, a danni del Venezia di Prandelli e del tridente (fortissimo in cm 01/02) con Magallanes (nel mirino della Juve) alle spalle di Maniero (infallibile come nella realtà) e Di Napoli.
Pochi giorni dopo, la semifinale di ritorno di Coppa Italia contro il Brescia (0-0) si era rivelata una pura formalità, confermando lo stato di grazia di Morfeo (il sostituto di Chiesa nelle partite di coppa nazionale) e il maggior equilibrio in campo garantito dalla presenza di un fluidificante sulla sinistra del centrocampo (Pieri) anziché un centrocampista offensivo e da un terzino marcatore a destra della difesa (Repka, nello specifico) anziché un fluidificante.

In campionato la squadra giocava ormai alla perfezione, interpretando meglio di quanto mi aspettassi ciò che disponevo durante la preparazione tattica e gli allenamenti.
Al di là di qualche eccezione dettata dalle condizioni fisiche di qualcuno dei titolari o da esigenze di turn-over, sui due lati del campo schieravo ormai un terzino marcatore ed uno fluidificante in difesa ed un trequartista ed un esterno difensivo a centrocampo. In altre parole, quando schieravo Ezequiel Gonzalez sul versante sinistro di centrocampo dall’altro lato c’era spesso Torricelli (o Di Livio), se a destra convocavo Rossi all’altro lato compariva Pieri.  
Con questo assetto più guardingo e, soprattutto, quel “furore agonistico” che per oltre metà stagione stentava ad emergere la mia Fiorentina recuperava posizioni su posizioni in classifica e un protagonista (mancato, fino a quel momento) dopo l’altro.  
Spettacolari, in tal senso, le varie rimonte dopo essere andati in svantaggio con le compagini più accreditate per la vittoria finale del campionato grazie alle sgroppate da centrocampo di Enrico Chiesa, che finalmente sembrava quello che eravamo abituati a vedere in TV in quegli anni, agli assist di Nuno Gomes, sempre più uomo squadra e meno goleador, ai guizzi esplosivi di Marco Rossi e al recupero di Sandro Cois.
Fondamentale la costanza di Di Livio, eccellente nel ruolo di centrocampista centrale in sostituzione di Cois e in quello, occasionale, di terzino o centrocampista destro, Torricelli, Gonzalez, Vanoli (anche in chiave più propriamente difensiva) e, soprattutto, Adani.
Quest’ultimo, il nostro “mitico”, che tra l’altro presentava una media percentuale di passaggi riusciti tra le più alte della squadra e del campionato (con quella dei contrasti a partita vinti la migliore in assoluto tra i difensori della serie A), era ormai nel giro della nazionale ed era finito al centro delle attenzioni delle principali protagoniste della massima serie (Inter su tutte).

Mi accorsi che eravamo arrivati in alto, e quindi lontani dalla zona retrocessione, grazie a Gonzalez. Verso la fine di marzo la sua scheda (i calciatori in cm 01/02 sono visibili mediante schede valori) non evidenziava lamentele o sintomi di particolari malumori e finalmente, dopo una serie interminabile di partite, m’ero deciso a dare un’occhiata alla classifica e al rendimento della mia squadra.  
In meno di 27 giorni avevamo giocato quattro partite di campionato, dove eravamo imbattuti dalla seconda metà di gennaio, la finale d’andata di Coppa Italia, 1-1 a Roma contro i giallorossi, e le semifinali di Coppa Uefa con il Liverpool (1-1 all’andata e 1-0 nel ritorno al Franchi).
Nel primo incontro con il Liverpool eravamo andati in vantaggio agli inizi del secondo tempo con Chiesa ed avevamo subito la rimonta solo nei minuti finali di recupero ad opera del granitico Heskey. Le aspettative erano ben peggiori e il pareggio all’Anfield Road contro Gerrard, Carragher, Owen, Dudek, Rjse, Berger, Hamann, Babbel&Co. aveva conscarato un momento d’oro, coronato poi dall’1-0 del ritorno a Firenze con il gol su punizione nel finale ad opera di Morfeo, subentrato a Chiesa negli ultimi dieci minuti di gioco.
A maggio ci sarebbe stata la finale con il Manchester United di Scholes, Keane, Beckam, Giggs, Veron e la macchina da gol Ruud Van Nistelrooy. E nello stesso mese si sarebbe giocata anche la finale di ritorno di Coppa Italia con la Roma.
In entrambi gli incontri contro il Liverpool avevano giocato Rossi a destra e Gonzalez a sinistra: in Europa, anche per il fitto calendario di impegni della squadra e il necessario turn-over a cui ero dovuto ricorrere, mi ero ritrovato a schierare di nuovo i due centrocampisti offensivi laterali. Con grande soddisfazione, inoltre, grazie soprattutto alle due ottime prestazioni dell’ala destra/fluidificante poi bandiera del Genoa, decisivo in entrambi gli incontri.

Ad aprile e maggio la corsa ai piani alti della classfica del campionato si materializzava. Senza impegni di coppa e piacevolmente ancora in corsa in tutte le competizioni a cui avevamo preso parte, avevo messo in campo sempre quella che mi sembrava la formazione migliore, comunque quella più “rodata” e affiatata, raccogliendo una serie di vittorie consecutive che mai mi sarei immaginato potesse verificarsi. La serie di imbattibilità cominciata a gennaio si interrompeva all’ultima di campionato, contro il Piacenza, quando eravamo addirittura in corsa, con 55 punti, per l’ultimo posto per la Champions League. Eravamo arrivati quinti ed eravamo in Europa.
La doppia finale di Coppa Uefa, come anticipato, aveva consegnato il trofeo ai Red Devils, ma con la Roma in casa i viola conquistavano la seconda Coppa Italia consecutiva.
Avevo con me squadra, presidenza e tifosi e tanti progetti da portare avanti.

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