venerdì 22 aprile 2016

CM 01/02: 2001/02, al giro di boa sull'orlo del precipizio


A metà campionato eravamo messi male, quart’ultimi con altre 4 squadre, ma non lontanissimi dalla zona Uefa.
Eravamo ancora in corsa in coppa Italia grazie a qualche guizzo decisivo dei veterani che avevo in squadra e alle punizioni di Morfeo, Baronio e Robbiati.
Nelle partite del trofeo nazionale ricorrevo ad un turn-over, per scelta, all’inizio, e poi per necessità, che potrei definire oggi “forsennato”. Che i risultati arrivassero, direttamente e non, soprattutto su calci piazzati e qualche ottimo contropiede portato avanti da Torricelli e Di Livio non mi sorprendeva. Era il mancato inserimento dei tanti ottimi calciatori che avevo schierato in quegli incontri che mi colpiva. Anche se l’aver superato piuttosto agevolmente i primi tre turni di coppa Uefa mi aveva comunque confermato di avere in gestione una gran squadra, affetta però da diverse “sindromi”.
C’era chi aveva supposto di trovare tutt’altro ambiente prima di arrivare a Firenze (tutti, credo, visto che appena due anni prima i viola erano approdati alla Champions) ed ora si ritrovava a lottare per la sopravvivenza, chi aveva dato per scontato il “posto fisso” in squadra e non accettava né la panchina, tanti, né il turn-over, alcuni, chi si dichiarava molto preoccupato dalle voci sulle cattive condizioni in cui versava la società, ma anche chi sosteneva di meritare un club più blasonato o che aveva fatto un errore a trasferirsi in Italia.
Ezequiel Gonzalez le aveva esternate tutte. Ne avrei  fatto volentieri a meno, ma era troppo importante per la squadra, indipendentemente dal modulo. Fantasista, trequartista, ala, laterale puro, fisicamente e tecnicamente dotato e in grado di mettere in campo una grinta fuori dal comune (tra i pochi a confermare sul campo le potenzialità, i dati, desumibili dalla sua scheda), era diventato un titolare inamovibile fin dalla prima amichevole, ma aveva tutte la carte in regola per sconquassare lo spogliatoio.    

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(foto: una partita della Fiorentina nella Champions 1999-2000 in versione CM)


Chiuso il girone di andata, era tempo di fare un resoconto della situazione e sul parco giocatori a disposizione.
All’inizio avevo creduto essere il reparto difensivo quello da tener d’occhio, ma le noie maggiori venivano dal centrocampo   
Amaral era un vero talento, ma nelle poche apparizioni in campo, nonostante lo avessi fatto entrare spesso durante le amichevoli estive e le prime partite di Coppa Italia, era decisamente fuori forma: in quanto regista/mediano, aveva bisogno di giocare tantissime partite per diventare il “faro” del centrocampo. E in questo ruolo già “zoppicava” Amoroso, colui che aveva assunto ormai il gravoso incarico di sostituire Rui Costa come timoniere della squadra pur avendo caratteristiche quasi opposte al portoghese (Christian Amoroso era un centrocampista difensivo abile anche ad inserirsi, Rui Costa un centrocampista offensivo che sapeva partire anche dal vertice alto della difesa e avviare l’azione da dietro), ma lo staff tecnico della società (Luciano Chiarugi, Giovanni Galli, Paolo Bertelli, Alessandro Ciullini e Pietro Battara) unanime mi suggeriva di dargli grande fiducia perché in grado di diventare il perno della squadra per lungo tempo. Peccato che aveva degli alti e bassi durante uno stesso incontro e non riuscisse quasi mai a concluderne uno perché troppo propenso ad infortunarsi.  

Alla fine le migliori partite (le poche partiite buone) avevano visti come centrocampisti centrali Cois e Di Livio, che, ormai 35nne cercavo di preservare al meglio per l’intera stagione evitandogli il ruolo di esterno (destro o sinistro era indifferente).
Ma Cois, infortunatosi a metà novembre, era ormai fuori uso (per almeno sei mesi) e a centrocampo, accanto a Di Livio, o ad Amoroso, schieravo ora Baronio, sistematicamente uno dei migliori se lanciato nella mischia a partita in corso e uno dei peggiori quando schierato fin dal primo minuto, ora Mirko Benin, in CM 0102 “granitico” ma molto falloso, o Fabio Rossitto, forse il migliore tra le seconde linee e, con qualche partita in più nelle gambe, il candidato principale a sostituire proprio Sandro Cois.
Quelle stesse partite avevano visto Gonzalez e Rossi (o Torricelli) correre sulle due fasce, Vanoli (di nuovo in nazionale dopo un’astinenza durata quasi due anni) difensore sinistro e Tarozzi, spesso, quello destro (lo avevo preferito in più di un'occasione a Torricelli perchè più marcatore), Adani e Pierini difensori centrali e avanti Chiesa e Nuno Gomes, che non vedevano la porta, ma erano insostituibili.

La mia panchina traballava, il numero di calciatori in rosa (49) mi avrebbe consentito al massimo un acquisto o un prestito, il centrocampo andava costruito ad ogni partita o gara in corso (il caso più frequente), durante la quale occorreva sempre rincorrere gli avversari (e non più per le papere di Taglialatela), e, come detto, il duo Chiesa-Nuno Gomes non la metteva dentro.  
Per  la penuria di goal a volte avevo provato anche a dare uno scossone all’ambiente buttando nella mischia Leandro (in campionato e in coppa Uefa), Georgios Vakouftsis (in coppa Italia), Ganz e Robbiati (soprattutto nelle partite che contavano), ma al di là di qualche ottimo secondo tempo, e soprattutto di un paio di gol su calcio di punizione a testa, di questi ultimi due e di un goal ciascuno del promettente brasiliano e dell’incognita greca, nessuno aveva dato l’impressione di “fare reparto”. Certo, Ganz e Morfeo erano in grado di sostituire Chiesa garantendomi anche delle varianti di gioco che mettevano in serie difficoltà gli avversari, ma il peso dei due titolari era decisamente superiore.

Bisognava puntare su coloro che lottavano sul serio per tenere la squadra a galla. A costo di deteriorare ulteriormente l’ambiente, dovevo dare una sfoltita alla rosa e integrarla con qualche nuovo arrivo in grado di permettermi di dare ossigeno a Vanoli (grandissimo in veste di terzino fluidificante), Torricelli, Di Livio e, a turno, Rossi (molto più che un talento) e Gonzalez.  
Sempre che per produrre uno scossone non si optasse per il mio esonero, eventualità tutt’altro che remota.

Intanto decidevo di cambiare da zona ad uomo il tipo di marcatura per i due centrali della difesa: sia Adani che Pierini sembravano prediligere quella a zona, così come Repka e Moretti, ma per favorire le ripartenze dal centro (magari con un semplice anticipo) e calmierare la prevedibilità dell’attacco sulle fasce lo reputavo necessario.
Come valida alternativa a Vanoli avevo adocchiato Mirko Pieri dell’Udinese, da poco rilevato dal Perugia dal team friulano, Vratislav Greško, protagonista di prestazioni altalenanti all’Inter, Fabio Grosso, che al Perugia si alternava nei ruoli di terzino e esterno sinistro di centrocampo, e Fabio Macellari, molto duttile come Vanoli e Grosso e poche volte schierato dal Bologna nella formazione titolare.
Per il centrocampo avevo chiesto ai miei osservatori di visionare Riccardo Allegretti del Como, il poco più che ventenne Pius Ikedia dell’Ajax, Manuele Blasi del Perugia, forse quello che mi convinceva più di tutti, e Martino Melis del Verona.
Per l’attacco avevo deciso di recuperare Ganz e Morfeo, da impiegare immediatamente nelle due amichevoli post natalizie che avevo organizzato per provare qualche variante in campo e fare un po’ di grana. (continua)


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