venerdì 1 aprile 2016

Miti e leggende del calcio giocato: il "mitico" in versione CM 01/02



Nelle mie epopee calcistiche con Championship Manager 2001/2002 ho dovuto scoprire e riscoprire il ruolo del “mitico”.
Nessuna avventura, indipendente
mente dai risvolti positivi o negativi conseguiti in veste di allenatore-managersi è consumata senza questa figura in squadra.  
È un processo naturale, mi verrebbe da dire oggi, eppure avevo iniziato a giocare al manageriale di calcio più realistico, ansiogeno e coninvolgente al mondo facendo a meno di questo leader (spesso silenzioso) in campo, baluardo della difesa e punto di riferimento sia per la costruzione del gioco, sia per l’inserimento di nuovi acquisti, oltre che per il mister (e tutto lo staff tecnico), il portiere, il regista e le nuove leve. 

Era il 2001, avevo da poco installato il miglior capitolo della saga e già da un primo sguardo alle videate non provavo alcuna forma di nostalgia per il precedente
Il gioco era ancora più performante della versione 99/00 che avevo conosciuto come Scudetto. L’immediatezza nel poter passare da una videata all’altra, comprese quelle relative allo staff e alle ricerche, e un database ricchissimo di giocatori noti e non, che lasciava intravedere un’intensa attività di scouting e negoziazione contratti da parte dell'utente, facevano intendere che il gioco si stava facendo ancor più duro che nelle passate edizioni. 
Avevo selezionato la Fiorentina come club, dopo essermi attribuito un nome del tipo Mario Bianchi, o forse Marco Bianchi o Mario Rossi, e la nazionalità italiana. Lo sottolineo perché nelle tantissime partite pregresse con Scudetto avevo spesso scelto una nazionalità diversa e un nome italo-brasiliano o tendenzialmente portoghese (il Portogallo era la nazione calcistica che aveva lanciato più giovani di tutti nel mondo del calcio che contava in quegli anni) e, soprattutto, ero sempre partito con una squadra di serie C o, al massimo, di B, magari una candidata alla lotta per non retrocedere, con l'obiettivo di conquistare un po' di notorietà e, quindi, una grossa piazza nel più breve tempo possibile.
Ero solito cominciare quindi da misconosciuto, venuto da chissà dove, che partiva dal basso e che ambiva a far parlare di sè per il gioco e i risultati: un folle avventuriero del calcio di periferia!

Grazie alle tantissime partite giocate con CM99/00 (esordio assoluto con il Lecco in serie C2, con due salvezze consecutive ed una retrocessione come bottino personale) mi sentivo particolarmente allenato e, nonostante stessi iniziando con la mitica versione 01/02, avevo deciso quindi di cominciare subito con un grande club.
Perché la Fiorentina in quegli anni era un grosso club, una delle famose “sette sorelle” del calcio italiano, a sua volta un modello vincente 
su scala mondiale. 


Ma la Fiorentina di quell’anno era anche quella del fallimento, dei guai giudiziari di Vittorio Cecchi Gori e del chiacchieratissimo esordio in panchina “senza patentino” di Roberto Mancini, sostituito poi alla guida dei viola durante il campionato da Ottavio Bianchi, prima, e Luciano Chiarugi, poi.  Stiamo parlando della Fiorentina che terminò il campionato 2001/2002 al penultimo posto della classifica di serie A quindi con una drammatica retrocessione nella serie cadetta, per poi provare il vero e proprio fallimento e la ripartenza dalla serie C2, dove era stata declassata per inadempienze finanziarie, con il nome di Florentia Viola e i Della Valle nuovi patron. Di quella Fiorentina che ritornò due anni dopo in serie A a seguito dello spareggio vinto contro il Perugia in B, dove i viola, dopo aver vinto l’anno prima il torneo di serie C2erano stati ripescati grazie all’allargamento a 24 squadre del campionato (per il "caso Catania"). 
Avevo sì scelto di guidare finalmente una grande squadra, ma di problemi me ne stavo accollando non pochi. E tra i tanti, percepibili fin da subito per il clima trovato negli spogliatoi (CM01/02 è eccezionale per quanto riguarda la creazione di questo tipo di scenario), l’eccessivo numero di tesserati, caso frequente per le squadre invischiate nella lotta per la sopravvivenza in serie A (perché comprano, comprano e comprano ancora pur di trovare quell’atleta e quell’equilibrio che riuscirà forse a dare una svolta all’andamento dei risultati) e l’insoddisfazione poco celata di alcuni talenti finiti presto fuori squadra sulla scia di dinamiche che erano andate ben oltre il calcio giocato. 


Nonostante le premesse (o, dovrei dire, quanto successo nella realtà), la mia Fiorencina (il passaggio di mister Lazaroni a Firenza ha lasciato il segno) tra campionato e coppe riuscì a togliersi enormi soddisfazioni.
Un'esperienza rivelatasi poi fondamentale per tutte le altre partite che ho fatto con CM01/02 e che mi ha convinto di quanto fosse importante puntare su degli elementi cardini, tra i quali il “mitico”, per costruire qualcosa di serio, anche in situazioni dove a farla da padrona è la tensione, l’incertezza e, in generale, la paura del presente e, soprattutto, del futuro. 
La squadra, d’altra parte, c’era e di nomi importanti in organico ne apparivano fin troppi. C'erano veterani della massima serie come Torricelli e Di Livio, calciatori che nelle rispettive nazionali avevano già giocato un impressionante numero di partite come Nuno Gomes e Repka, giusto per citarne qualcuno, c'era Pedrag Mijatovic, l'uomo che con la maglia del Real Madrid aveva steso la Juve nella finale di Coppa Campioni due anni prima, il granitico Cois (che si romperà sul serio anche sotto la mia gestione), il talentuoso Morfeo, il più che promettente regista "moderno" Christian Amoroso, il guizzante Ganz e il dirompente Enrico Chiesa. E c'erano anche, tra gli altri (troppi), Baronio, Robbiati (anche nel calcio virtuale troppo predisposto agli infortuni), Marco Rossi, Mirko Benin, Daniele Adani, Paolo Vanoli (che anni prima mister Lazaroni aveva convertito in esterno di centrocampo), Tarozzi e Pierini.
Una signora squadra che, con qualche accorgimento alla  difesa, avrebbe potuto (e dovuto) mirare addirittura ad un posto in Champions (nella realtà abbiamo ricordato che la Fiorentina in quell'anno è retrocessa in B per poi essere dichiarata fallita).


Ma il clima, come anticipato, era rovente e si respirava come tale fin dal principio della mia nuova esperienza.  
Iniziai a mettere mano agli allenamenti, visionare le caratteristiche e le condizioni (anche contrattuali) dei calciatori in organico (e dello staff tecnico) e ad organizzare le prime amichevoli, ricordandomi dalle passate esperienze quanto poco tempo ci fosse per allenare la squadra, metterla in forma e alleggerire la preparazione per le prime partite e, soprattutto, per il primo turno di Coppa Italia. (continua)

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