sabato 29 luglio 2017

Championship Manager 01/02 (uptade ottobre 2016): l'Avellino che non t'aspetti


Metti che parti con una squadra che deve salvarsi in B con tanti buoni calciatori, magari qualcuno particolarmente dotato dal punto di vista tecnico, e molti talentini in prestito per le ovvie difficoltà finanziarie in cui versano gran parte dei club di calcio italiani e ti ritrovi inaspettatamente, ma meritatamente, al quarto posto del campionato e, dunque, tra le promosse alla massima serie e a dover rivedere tutti i trasferimenti già perfezionati (a costo zero) da gennaio in poi e a fronteggiare l’incubo di diventare la cenerentola del campionato di serie A e, una volta aumentati ingaggi e numero di giocatori, lottare affannosamente contro un sicuro fallimento dal punto di vista finanziario, societario e professionale.

Metti che, una volta in serie A, la tua squadra gioca ogni incontro come se fosse la partita della vita, l’ultima possibilità di salvarsi dalla retrocessione, per ritrovarti in Champions senza aver mai nemmeno idealizzato un finale di campionato di tali dimensioni e ad affrontare nuovamente tutti i problemi legati ad una crescita inimmaginabile senza dimenticare che l’obiettivo resta quello di salvarsi dignitosamente senza dover per questo inanellare una dopo l’altra tutte quelle figuracce che una scampata cenerentola volata troppo in alto può farti vivere meglio di qualsiasi altra squadra.

E metti che sei costretto a fare il turn-over, costruire un organico competitivo pescando tra le serie inferiori (e all’estero) e qualche ottimo calciatore in scadenza contratto disponibile (ma quante clausole di rescissione da negoziare con quelli che si reputano molto bravi!), circondarti di bravi (e dall'ingaggio sostenibile) professionisti in fatto di preparatori atletici e osservatori per mettere insieme una rosa di giovani sui quali puntare per il futuro (e non solo) e dare seguito a tutto ciò che sei riuscito sorprendentemente a fare.
Favole che ricorrono nel più bel gioco del mondo e che spesso diventano incubi. Anzi, quando piccole realtà raggiungono traguardi inaspettati e si trovano costrette a variare in corso strategie, stipendi, organizzazione, mentalità e protagonisti, spesso nell'ambiente si parla di sciagura.

Cose che capitano anche in CM0102 e che mi è successo recentemente (e piacevolmente) con l’Avellino, realtà un tempo arcinota per i dieci campionati di fila in serie A (nove salvezze consecutive) dal 1978 al 1988, mentre l’Italia vinceva il mundial del 1982 con Paolo Rossi gloleador e collezionava una delle più grandi figuracce della sua storia appena 4 anni dopo, in Messico.
Erano gli  anni in cui nella Juve giocava, tra i vari Zoff, Cabrini, Scirea, Gentile, Bonini, Tardelli, Boniek e Rossi, un certo Platini e nella Roma un tale Falcao (oltre a Graziani, Pruzzo, Gerolin, Tancredi e Conti), mentre all’Inter arrivavano Rumenigge, Passarella, Matteoli e Fanna, a Napoli Maradona. Erano i tempi in cui il Milan cercava di rialzare la testa dopo due retrocessioni nella serie cadetta e il Verona di Bagnoli vinceva lo scudetto trainato da “cavallo pazzo” Preben Elkjær Larsen e con in squadra Pietro Fanna (poi all’Inter), Roberto Tricella (poi alla Juventus), Antonio Di Gennaro e “nanu” Galderisi (entrambi facenti parte della fallimentare spedizione di Mexico ’86 con Bearzot ct della nazionale), “Garellik” tra i pali e il "bionico" Hans-Peter Briegel (che vincerà a fine carriera una coppa Italia con la Sampdoria) come terzino sinistro-centrale.
Era il periodo in cui all’Udinese, dopo Causio, arrivavano Zico, Edinho e Virdis, il Como faceva conoscere a tutti un giovanissimo Pietro Vierchowod, il talentuoso Stefano Borgonovo (rarissimo un nove italiano di gran talento, a quei tempi) e il poco ortodosso Pasquale Bruno, la Lazio provava due retrocessioni in B (e quasi una in serie C) e lottava per salvarsi ricorrendo anche a qualche importante prestito (su tutti Michael Laudrup della Juve) e la Samp di Brady, Souness, Cerezo, Vialli e Mancini cominciava a monopolizzare le finali di Coppa Italia (e a gettare le basi dello straordinario scudetto del 1990-91), quando l’Ascoli di Rozzi rischiava di andare in Coppa Uefa e lanciava allenatori come Mazzone e Boskov e giovani quali Domenico Agostini, Iachini e Scarafoni, la Cremonese, dopo aver venduto Vialli alla Samp, pescava stranieri quali Juary (ex Avellino), Limpar, Dezotti e Neffa, l’Atalanta di (nell’ordine) Ottavio Bianchi, Nedo Sonetti e Emiliano Mondonico dimostrava con Magrin, Pacione, Stromberg, Piotti, Cantarutti, Caniggia, Donadoni e Prandelli che anche in provincia, tra una retrocessione e una qualificazione alle coppe, si poteva pensare in grande senza dimenticare le proprie dimensioni e la Fiorentina  provava a ben figurare in A e a rientrare tra le grandi affiancando ad Antonioni calciatori quali Vierchowod, Oriali, Daniel Bertoni, Passarella, Massaro, Giovanni Galli, Socrates, Paolo Monelli e cercava di sostituirlo nel cuore dei tifosi con Baggio e Borgonovo.

Una squadra di provincia, quella dell’Avellino, che in un’epoca in cui con l’apertura delle frontiere agli stranieri anche le compagini più modeste della serie A avevano, quindi, tra le loro fila nomi di grande prestigio (oltre a mitici ed indimenticabili “bidoni”), era riuscita a sopravvivere nella massima serie grazie alla “Legge del Partenio” e a calciatori quali gli irpini Pasquale Casale e Fernando De Napoli (poi gran protagonista con il Napoli e la nazionale), Stefano Tacconi (in seguito più di 250 partite tra i pali della Juve), Ottorino Piotti (scuola Milan e pilastro dell’Atalanta dei miracoli), Andrea Carnevale (gran protagonista anch’egli degli anni d’oro del Napoli), Luciano Favero, Beniamino Vignola e Bruno Limido (tutti e tre alla Juve come riserve, rispettivamente, di Gentile, Platini e Cabrini), il peruviano Geronimo Barbadillo (vecchia gloria in patria che nel mondiale del 1982 aveva giocato la sua unica partita da titolare proprio contro l’Italia), Ramón Díaz (scudetto con l’Inter e tante partite con Fiorentina, Monaco e River Plate), Adriano Lombardi (storico capitano al quale è intitolato lo stadio Partenio), Juary (coppa Campioni con il Porto dopo le poco brillanti esperienza post-Avellino all’Inter, all’Ascoli e alla Cremonese), José Dirceu (lo “zingaro” del calcio, ancora oggi uno dei più amati in terra irpina), Angelo Colombo (con Evani una delle “fortune” di Sacchi ai suoi esordi sulla panchina del Milan), Walter Schachner (con Polster e Prohaska, uno dei più forti calciatori austriaci della storia), Franco Colomba (che ha anche allenato l’Avellino), Giovanni Cervone, Salvatore Di Somma, Paolo Beruatto, Carlo Osti, Pasquale Casale, Giuseppe Zandonà, Nicola Di Leo, Sandro Tovalieri, Cosimo Francioso, Mario Paradisi, Salvatore Vullo, Vincenzo Romano (poi jolly determinate nel Napoli scudettato), Angelo Alessio (poi alla Juve e dal 2010 viceallenatore di Antonio Conte al Siena, alla Juventus, in Nazionale ed oggi al Chlesea), il compianto Gian Pietro Tagliaferri (uno dei suoi pochi gol costò lo scudetto alla Roma nel campionato 1983-1984) e Alessandro Bertoni (che dopo 123 partite lasciò i lupi nel 1989, secondo anno di serie B, per andare alla neopromossa Lazio).

Una società che dopo quei fasti ha lottato, perdendo sul serio in qualche caso, per la sopravvivenza, ed ha affrontato, come gran parte delle realtà calcistiche nostrane, più delusioni che soddisfazioni (che pur ci sono state), se non addirittura il rischio di sparire per sempre, pur avendo continuato a vedere la propria divisa addosso a calciatori di ottimo livello (anche se spesso in prestito o a fine carriera) come, ad esempio, Fabio Pecchia, Lorenzo Battaglia, Pasquale Luiso e Antonio Criniti (un duo che ha fatto sperare sul serio in una rinascita anni fa), Totò Fresta, Bucaro, Bonaldi, de Martis, Molina, Rastelli (che ha anche allenato la compagine biancoverde), De Zerbi, Trezzi, Nocerino, Biancolino, Capparella, Stroppa, Kutuzov, Ghirardello, Taglialatela, Ametrano, Danilevicius, Defendi, Cipriani, Pellicori, Sforzini, Seculin, Zappacosta, Galabinov, Castaldo, Soncin, Bittante, Gomis, Rodrigo Ely, Vergara, Fabbro, Zito, Tavano, Verde e Ardemagni. (continua)

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