lunedì 3 ottobre 2016

e-commerce: come fare profitti con i carrelli abbandonati



Un tempo, soprattutto di sabato pomeriggio e alla vigilia di festività e ferie, era facile trovare in prossimità delle casse del supermercato qualche carrello della spesa abbandonato a se stesso. Magari strapieno e con dentro proprio gli ultimi esemplari di quegli oggetti in vendita sottocosto o comunque scontati per i quali c’eravamo recati, anche di corsa, in quel supermercato. O con il prodotto che proprio non eravamo riusciti a trovare ma che eravamo sicuri di averlo adocchiato proprio in quel negozio.
A pensarci bene, il fenomeno lo osserviamo ancora oggi, anche se la “monetina”, prima, la “pistola leggi-prezzo” e altre tecniche per evitare l’abbandono del carrello dentro e fuori i locali commerciali, poi, lo abbiano molto ridimensionato.
Un fenomeno che implica una perdita, diretta ed indiretta, di soldi: la merce non viene venduta (un chiaro mancato incasso) e il cliente che invece non l’ha trovata disponibile è un cliente potenzialmente insoddisfatto (cosa che potrebbe anche minare la tenuta del rapporto di fiducia con l’esercente). Aggiungiamo poi che la risistemazione degli oggetti contenuti nei carrelli abbandonati richiede comunque ulteriore lavoro (altro costo indiretto), e il danno nelle sue manifestazioni è ben chiaro a tutti.
Nel mondo dell’e-commerce i carrelli abbandonati online rappresentano addirittura un vero e proprio dramma dal punto di vista economico. E non solo nella confusione estiva o prenatalizia, ma durante l’intero anno.
La velocità del commercio online e il parcheggio dei prodotti in carrelli che si riveleranno poi abbandonati sono inconciliabili. La mancata disponibilità del bene, se poi non venduto, diventa immediatamente un mancato guadagno. Anche se la “prenotazione” del prodotto a seguito del suo parcheggio nel carrello ha una durata limitata (a poche ore su alcuni noti siti).
Eppure 4 visitatori su 10 di siti di vendita online, secondo una ricerca talend sulle mancate vendite in rete, abbandonano il loro carrello il 50% delle volte prima di completare l’ordine. Centinaia di milioni di prodotti fermi e tante potenziali vendite andate in fumo (per il sito e per i venditori che vi espongono).
Il sondaggio evidenzia tuttavia che si potrebbe recuperare fino al 40% di fatturato “perso” concedendo al consumatore una seconda possibilità e intervenendo tempestivamente con offerte speciali personalizzate.
L’85% dei consumatori interpellati ha dichiarato infatti che sconti in tempo reale o pacchetti di offerte sui prodotti da loro selezionati li condurrebbe all’acquisto; il 90% che completerebbe l’ordine o tornerebbe almeno al carrello “dimenticato” se ricevesse come offerta la consegna gratuita; il 42% che desidererebbe acquistare i beni nel carrello, anche se solo il 4% di loro, in realtà, lo fa davvero.


Intoppi, ripensamenti e incidenti. Ma quali sono i motivi che ci spingono ad abbandonare un carrello online? La domanda me la sono posta anch’io leggendo qualche dato sul fenomeno, ripercorrendo qualche mia esperienza personale e curiosando tra le soluzioni suggerite dai professionisti del marketing, ma l’elenco che viene fuori da una ricerca del sito statista sul 2012 mi sembra più che esaustivo:
- comparsa di costi inaspettati (56%). Credo che oggi la comparsa di spese aggiuntive solo in fase di completamento dell’acquisto sia meno frequente di qualche anno fa, ma resta di sicuro uno dei motivi principali per mandare all’aria un ordine, oltre che un brutto messaggio per il consumatore;
- consumatori che utilizzano il sito e le funzionalità per la vendita per pura curiosità (37%). Si tratta di una situazione molto complessa in termini di marketing: in effetti, è difficile in questo caso capire come persuaderli a ritornare al carrello o addirittura raggiungerli con un’email, perchè magari nuovi del sito e, dunque, mai registrati;
- bene trovato ad un prezzo migliore su un altro sito (36%);
- prezzo complessivo troppo alto (32%). Potrebbe equipararsi alla situazione dei carrelli stracolmi di roba abbandonati prima delle casse di un supermercato: si è esagerato nel caricare prodotti e poi si è rimasti pietrificati quando si è compreso il totale;
- cambio di idea sulla spesa (26%);
- navigazione del sito troppo complicata (25%);
- sito crashato durante l’utilizzo (24%);
- processo di completamento dell’ordine troppo lungo (21%);
- eccessivi controlli di sicurezza per il pagamento (18%);
- preoccupazioni circa la sicurezza dei pagamenti (17%);
- modalità di consegna inadatti alle proprie esigenze (16%);
- raggiungimento dei tempi massimi di permanenza sul sito (15%);
- prezzo espresso in valuta estera (13%); - pagamento rifiutato (11%).
L’elenco è in grado di suggerire varie soluzioni per far fruttare i carrelli abbandonati. Ma penso che parte del fenomeno sia oggi insito nell'e-commerce, anche se mettere a disposizione dei consumatori una lista desideri, diversa dal carrello, dove parcheggiare i prodotti cercati (come avviene su amazon, ad esempio) già aiuterebbe a dribblare molti degli ostacoli evidenziati.

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