lunedì 18 gennaio 2016

ETS: come funziona il mercato europeo delle emissioni (parte 2)


Le quote di emissione sono assegnate in generale a titolo oneroso dai Paesi membri dell’UE agli operatori attraverso aste pubbliche europee.
Agli impianti manifatturieri maggiormente esposti al rischio di delocalizzazione per i costi del carbonio sono tuttavia assegnate anche quote a titolo gratuito, secondo coefficienti definiti per prodotto e quantificati sulla base dei risultati raggiunti dal 10% degli impianti più efficienti per ogni settore industriale.
Gli impianti possono comprare o vendere le quote sia tramite accordi privati sia rivolgendosi al mercato secondario delle emissioni.
La contabilizzazione delle quote e la registrazione del passaggio di proprietà delle stesse avviene presso il Registro unico dell’Unione Europea: è sulla base di quanto risultante in esso che gli operatori ogni anno compensano le proprie emissioni restituendo le quote agli Stati membri.
Anche se in misura limitata e solo fino al 2020, gli impianti possono utilizzare anche crediti di emissione non europei derivanti da progetti realizzati nell’ambito dei meccanismi introdotti su base internazionale dal Protocollo di Kyoto.
Gli ospedali e gli impianti con emissioni inferiori a 25mila tonnellate di anidride carbonica equivalente e, se di combustione, con potenza termica nominale inferiore a 35 MW, escluse le emissioni da biomassa, possono essere esclusi dall’UE ETS.
L’Autorità nazionale per la gestione della normativa in materia (Direttiva ETS) in Italia e il monitoraggio delle politiche internazionali in fatto di cambiamenti climatici è il Comitato ETS. Si tratta di un organo interministeriale presieduto dal Ministero dell’Ambiente, mentre la vice presidenza spetta al Ministero dello Sviluppo Economico.

Per ora il sistema europeo non ha prodotto i risultati sperati.
La crisi economica ne ha limitato fortemente l’impatto e l’Europa si è ritrovata isolata nelle sue regole.
Molte imprese hanno infatti delocalizzato la produzione proprio nei territori dove il mancato rispetto delle normative in materia energetica ed ambientale consente di produrre a prezzi più competitivi e lo stesso consumatore finale in tantissimi casi ha spostato nelle stesse aree l’accesso ai consumi.
L’allargamento delle regole dell’Unione alle zone extra Ue, passaggio necessario per la riduzione reale delle emissioni globali, così non c’è stato e il valore dei titoli legati ad esse è drasticamente crollato (dagli iniziali 30 € per tonnellata di CO2 oggi siamo intorno ai 7-8 €).
Al momento non sembra quindi un “affare” investire in ristrutturazioni dei mezzi di produzione e in generale perseguire politiche di efficientamento nell’emissione di CO2.
E se il parametro principale per la riduzione dei gas serra resta quello della convenienza economica, sembrerebbe fin troppo più logico comprare quote altrui e continuare ad inquinare. 

Nessun commento:

Posta un commento