giovedì 10 marzo 2016

Championship Manager (Scudetto): una storia di calcio

Era il lontano 1992 quando Paul e Oliver Collyer riescono a farsi pubblicare dalla Domark, poi Eidos, il videogioco manageriale di calcio sul quale stavano lavorando dalla fine degli anni ’80, European Champions.
I nomi dei calciatori non sono quelli reali e la Domark, nota principalmente per il celebre Trival Pursuit e per videogame ispirati al mitico 007, come software house non è proprio ineccepibile.
Il primo lancio non è un successo, ma già il capitolo successivo segna una decisa inversione di tendenza.

L’anno dopo nasce infatti Championship Manager ’93 e la creatura dei due fratelli Collyer comincia a decollare. I giocatori questa volta hanno dati anagrafici reali e vengono inseriti anche i trasferimenti da squadre estere e, cosa di non poco conto in UK, la neonata Premier League. Nello stesso anno esce anche uno spin-off dedicato alla nostra serie A denominato Championship Manager Italia.
Nel 1994 Paul e Oliver, sull’onda del successo raggiunto dalla loro creatura, fondano la Sports Interactive (che dieci anni dopo firmerà un accordo con SEGA per i diritti di pubblicazione dei suoi videogame e il cui studio di Londra, con i suoi circa 70 dipendenti, un nutrito staff di beta tester e addetti al controllo qualità e una rete di un migliaio di ricercatori sparsi per il mondo, due anni dopo sarà interamente rilevato dalla multinazionale dei videogiochi) e nel settembre dell’anno seguente viene lanciato Championship Manager 2, il titolo che decreta il successo della saga CM su scala mondiale, sotto il quale escono CM 96/97 e 97/98.

Il 1996 è l’anno di Championship Manager 3, che include anche la “mitica” versione 01/02.
I giocatori e lo staff tecnico e manageriale inseriti nel database di CM sono ormai diventati circa 30.000 e viene inserita una caratteristica che rivoluzionerà per sempre l’approccio al gioco e che avvicinerà a quest’ultimo anche gli addetti ai lavori del mondo del calcio, vale a dire quell’incertezza sulle caratteristiche tecniche dei giocatori non noti che richiede l’impiego di osservatori per portarle alla luce.
Lo schema concettuale è quello delle porzioni di mappa oscurate che nei giochi di strategia militare implicano il necessario impiego di scout per scoprirle e la novità introdotta in CM diventa l’elemento principale per mettere in piedi una squadra competitiva (o l’unico mezzo per una società non messa benissimo in fatto di conti per procurarsi qualche talento in erba).
Con questa versione il calciomercato si apre anche ad alcuni dei paesi dell’ex Unione Sovietica (prima la Bielorussia), al Paraguay, alla Polonia, all’Olanda e nei settori giovanili delle big di serie A e tra i risultati delle ricerche commissionate ai talent scout iniziano a intravedersi dei veri e propri campioni del futuro (alcuni rimasti "virtuali").

Daniele De Rossi, Alberto Aquilani, Simone Pepe e Arjen Robben sono le giovani leve più citate dagli appassionati di CM 01/02, le promesse che si sono confermate alla grande anche nel mondo del calcio giocato.
Chi, come me, ha iniziato a giocare con club minori e budget ridotti (impossibilitato, dunque, a offrire ingaggi e palcoscenici adeguati alle richieste e alle aspettative dei calciatori italiani più talentuosi, anche se ancora misconosciuti, e di coloro pronti a lasciare i vivai dei club europei più prestigiosi), ricorderà invece tanti piccoli campioni di passaporto portoghese (come Édson Ricardo Nunes Correia Silva e Filipe Oliveira) molto più incisivi da giovanissimi che nella fase della maturità calcistica, l’algerino Abdelkader Ghezzal, Agostino Garofalo (uno dei tanti giovani lanciati da Zeman nel mondo dei professionisti), il centrocampista-difensore senegalese Albaye Papa Diop, il talentuosissimo spagnolo Albert Serrán e i suoi conterranei Diego Cervantes e Armando Lozano,  l’acerbo “pilastro” della difesa Aleksandre K'vakhadze, il richiestissimo Alessandro Potenza, Alvaro ”El Tata” Gonzalez, il costaricano Álvaro Sánchez, l’australiano Carl Valeri, l’angolano Enoque Guilherme e magari le estenuanti trattative per far firmare piccoli fenomeni  non rientrati nel “grosso giro” come Daniele Vantaggiato, Ferdinando Sforzini (sempre infortunato nell’unica occasione in cui sono riuscito ad ingaggiarlo) e Gabriele Perico (e lasciamo perdere i tentativi per portare via dal Pescara il sedicenne Daniel Ciofani o i coetanei Daniele Galloppa dalla Roma e Tiberio Guarente dall’Atalanta!) e i colpi a parametro zero messi a segno appena disponibili un po’ di quattrini, e dopo mesi di negoziazioni per ottenere una decisa riduzione dell’ingaggio richiesto, del calibro di Johnnier Esteiner Montaño, Gaetano D'Agostino, Klaas-Jan Huntelaar, Tonton Zola Moukoko, Julius Aghahowa, Benjani Mwaruwari, Joseph Dayo Oshadogan, Gionatha Spinesi, Daniele Balli, Alessandro Pane, Pius Ikedia (addirittura dal vivaio dell’Ajax!) e il sempre redivivo César Sampaio (in scadenza contratto con il Deportivo e in chiara fase calante, ricordo di averlo ingaggiato per 180mila euro annui dopo una trattativa durata un’intera estate e che ha guidato la Juve Stabia in una storica e meritatissima doppia promozione dalla serie C1 alla serie A).

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