sabato 27 febbraio 2016

L'economia criminale


Il crimine organizzato ha una capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale che spiazza, in termini di ampiezza, anche le stime più tetre.
Le mafie sanno instaurare relazioni durature con la società civile meglio di qualsiasi azienda di successo, alimentando un livello di collusione e corruzione che consente loro un grado di successo tale da rendere “minuscolo” quello raggiunto dalle politiche di marketing e brandizzazione più “azzeccate”.
Il rischio è che si crei un continuo sistema di connessioni perverse tra società civile e impresa criminale tale da vanificare le azioni di contrasto più sofisticate (quando ci sono) e di difficile quantificazione.
Infatti, così come è complesso stimare quanto le mafie fatturino ogni anno o se tutte le attività illegali siano o meno gestite da esse, è altrettanto complicato individuare le infiltrazioni del crimine organizzato nel sistema economico e finanziario, specie nelle regioni del Centro-Nord italiano o fuori dai confini nazionali.
Per quanto riguarda il primo aspetto, se i dati ufficiali sulle diverse tipologie di reati diffusi dalle fonti istituzionali possono aiutare alla formulazione di stime approssimative, resta l’incognita sul numero di quelli non denunciati o difficilmente accertabili, per cui quando si parla di reddito prodotto dalle mafie e del suo impatto sul Pil nazionale (o, allargando l’analisi oltre l’Italia, su quello mondiale) si ha a che fare quasi sempre con dati sottostimati. Per il secondo, che ha notevole impatto sul primo, si presente un’altra “area grigia”, molto vasta anch’essa, fatta di professionisti, burocrati, politici e imprenditori, che costituisce il luogo dove le diverse alleanze e infiltrazioni si costituiscono, si modellano e si ripropongono dopo ogni intervento della pubblica autorità.

Fatte le dovute premesse sulla complessità dell’analisi del fenomeno, dal rapporto Europol del 2013 emerge che in Europa ci sono circa 3.600 clan criminali e che le organizzazioni mafiose italiane costituiscono ancora la maggiore minaccia dell’Unione Europea.
Le attività principali gestite da questi organismi sono principalmente il riciclaggio di denaro e il traffico di droga su larga scala, ma essi sono particolarmente attivi anche nella corruzione, la contraffazione e il traffico di rifiuti tossici.
Le ingenti ricchezze prodotte dalle mafie consentono loro di infiltrarsi più facilmente nell’economia legale, fornendo la liquidità necessaria alle imprese sull’orlo del fallimento, fenomeno questo ingigantitosi ancor più con l’esplosione della crisi economica e con il cronico ritardo con il quale il nostro Paese si è adeguato alle normative internazionali in materia di contrasto al riciclaggio di proventi illeciti e che ha toccato aree italiane ed europee storicamente poco colpite, e compenetrate, dal crimine organizzato.
Con la stretta creditizia che ha accompagnato questi anni di recessione le denunce per usura in Italia, secondo i dati della Procura nazionale antimafia, sono aumentate del 155%, mentre il riciclaggio, che su scala mondiale ammonta al 5% del Pil, in Italia è arrivato a valere circa 118 miliardi di euro, più del 10% della ricchezza nazionale secondo le stime della Banca d’Italia.
Il mercato più attivo risulta la droga, capace di generare un volume d’affari di circa 25 miliardi di euro “esentasse”, venti in meno del dato lordo prodotto dal comparto moda, il più importante del settore tessile nostrano. (continua)


dalla prefazione de l'economia criminale: la connotazione economica del crimine

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